I dipendenti e il loro benessere al centro: è la volta buona?

I dipendenti e il loro benessere al centro: è la volta buona?

L’importanza del benessere dei dipendenti non è che sia poi un argomento di strettissima attualità: sono ormai tanti anni che se ne parla, che vi si incentrano eventi, seminari ed incontri. Ma solo ora sembra che i datori di lavoro si stiano veramente muovendo verso azioni tangibili che supportino il benessere dei propri dipendenti.
Anche le ricerche in merito evidenziano come il benessere dei dipendenti sia una delle priorità dei dipartimenti HR insieme alla attrazione e ritenzione dei talenti. Non è un segreto che i datori di lavoro che danno la priorità al benessere dei dipendenti e si preoccupano del proprio personale, hanno maggiori probabilità di raccogliere frutti.

Se è vero che alle aziende spetta un ruolo importante nella generazione del nostro “stare bene”, la sua ricerca però non si deve limitare alle buone intenzioni da sala riunioni: dovrebbe essere parte del nostro modo di vivere e lavorare ogni giorno. Non possiamo aspettarci che arrivi il successo personale o aziendale senza di esso, per questo dobbiamo essere noi i primi a prenderci cura di noi stessi, sia fisicamente che mentalmente.
E questo non è affatto facile: di fronte ai carichi di lavoro, alle scadenze, ecc., prendersi del tempo per noi stessi durante il giorno troppo spesso non la riteniamo una priorità. Le risorse umane hanno un ruolo cruciale da svolgere anche nell’aiutare le persone a mettere al primo posto il proprio benessere, introducendo piccoli cambiamenti che contribuiranno a rendere la cultura dell’ufficio più sana e più positiva, ma senza dettare o imporre.
Da questo punto di vista la tecnologia può dare il suo contributo: oggi i datori di lavoro riconoscono che può anche supportare il benessere dei dipendenti. Per esempio, guardando alcuni esempi che vengono da Oltreoceano, attraverso app e dispositivi indossabili. La sempre più ampia diffusione degli smartwatch o activity tracker che consentono alle persone di monitorare istantaneamente i loro progressi di fitness, sta aprendo le porte a possibili sfide a livello aziendale, giornate di sport di squadra, ecc. con l’obiettivo di aiutare tutti i dipendenti a migliorare il proprio benessere fisico.
E si sa, dipendenti più sani e più felici hanno maggiori probabilità di rimanere in azienda più a lungo e magari anche assentarsi meno per malattia. Per adesso uno scenario piuttosto ipotetico più che reale, in primis per i problemi di privacy legati al proprio stato di salute o in generale ai dati sensibili che questi dispositivi portano con sé.
Certamente però ci sarà sempre più l’attenzione verso la raccolta ed elaborazione di dati utili a creare un ambiente di lavoro coinvolgente e sano.
Ciò è cruciale, poiché i dipendenti che si sentono informati e coinvolti non sono solo più produttivi, ma hanno anche maggiori probabilità di agire come ambasciatori positivi, il che è un ottimo effetto per l’intera azienda. Ma ovviamente il benessere non è solo quello fisico. Il datore che vuole farsi carico di garantire il benessere dei suoi collaboratori deve preoccuparsi anche degli aspetti psicologici.
Il benessere sul lavoro
C’è molta preoccupazione per la salute mentale e lo stress sul lavoro, in particolare con il ritmo veloce della vita lavorativa della maggior parte delle persone. Lo stress può assumere molte forme sul posto di lavoro, indipendentemente dal carico di lavoro, dall’insicurezza del proprio posto o da conflitti con colleghi o dirigenti.
Viviamo in una cultura aziendale “sempre collegata”, in cui il controllo delle e-mail durante le ferie, in vacanza o comunque fuori dall’orario di lavoro è la norma. In realtà, un‘abitudine che rischia di causare più danni che benefici, tanto più diffusa quanto è grande l’organizzazione della quale si è parte.

In un periodo dove si parla spesso di work-life balance, va interpretata semplicemente come una cattiva abitudine o sta cambiando il nostro modo di lavorare? La linea di demarcazione tra vita e lavoro è in realtà meno netta di quanto si possa pensare ed è mutevole di individuo in individuo. Basti pensare per esempio a quanta parte della tua personalità sia figlia del tuo lavoro o quanto la tua felicità sia influenzata dai successi o meno che ottieni sul lavoro.
Le organizzazioni stanno imparando che devono offrire un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata: questo è fondamentale per la produttività, poiché meno affaticato è il dipendente, migliore è la qualità del proprio lavoro.
Inoltre, la tecnologia sul posto di lavoro ci sta permettendo di svolgere le attività della giornata e di essere in costante comunicazione con i colleghi di tutto il mondo, lavorando in un modo che si adatta alle nostre esigenze, senza la necessità di spostarsi. È stato dimostrato che consentire ai dipendenti la libertà di lavorare nel modo che preferiscono ha un impatto positivo sulla produttività e sul morale e favorisce il senso di benessere della carriera.
Ma come esseri umani, noi siamo innatamente sociali, nel senso che le nostre connessioni personali e il modo in cui ci sentiamo al riguardo possono avere un impatto incredibile sulla nostra psicologia, sul nostro impegno sul lavoro e sulla nostra produttività. Ecco quindi che le organizzazioni si trovano di fronte alla necessità difendere il proprio personale dall’isolamento sociale indotto dalla digitalizzazione. Soprattutto dal momento in cui questo “benessere sociale” è rilevato dalle ultime ricerche come uno degli aspetti fondamentali per chi vuole garantire un benessere complessivo in azienda.
E’ fondamentale in questo caso il supporto delle risorse umane: se la tendenza della quotidianità lavorativa è quella del progressivo isolamento, sta a loro incentivare pranzi o cene di gruppo o altre forme di incontri tra le persone. La realizzazione di sondaggi sul personale e l’incoraggiamento del feedback sulle iniziative sociali esistenti possono anche aiutare i team delle risorse umane a capire cosa vogliono le loro persone e il tipo di supporto che apprezzerebbero in futuro. Creare e comunicare le opportunità che favoriscono la vita sociale aziendale contribuirà a incoraggiare l’impegno e la produttività dei dipendenti. Potrebbe anche essere un fattore che contribuisce in modo significativo alla fedeltà di un dipendente nei confronti del datore di lavoro, facendo potenzialmente la differenza tra la sua decisione di rimanere in azienda oppure no.
La forza lavoro diversificata di oggi porta con sé una vasta gamma di problematiche legate al benessere. In che modo i professionisti delle risorse umane e i datori di lavoro possono sviluppare una strategia che si rivolga efficacemente a una forza lavoro multigenerazionale?

Benessere al lavoro
Con un numero crescente di lavoratori che volenti o nolenti ritarda la pensione, non è affatto raro che ultrasettantenni condividano l’azienda con esponenti della generazione Z. I bisogni e le preferenze di una generazione possono essere molto diversi rispetto a quelli di un’altra: un approccio unico per il benessere dei dipendenti non è quindi più sufficiente per una forza lavoro multigenerazionale.
Per esempio: si sa che i più giovani portano in azienda un contributo fondamentale in termini di competenze “nuove”, come quelle digitali, e la loro vita è spesso caratterizzata dalla tipica fragilità economica (e alle volte anche psicologica) di chi ha appena esordito nel mondo del lavoro. La situazione per i lavoratori più avanti con l’età può essere radicalmente diversa, pensiamo ad esempio a chi ha la difficoltà di gestire i propri figli e allo stesso tempo degli anziani.

E’ quindi evidente come i programmi volti al benessere di maggior successo saranno quelli che riconoscono le esigenze e le aspettative specifiche della forza lavoro diversificata di oggi. Pertanto, i datori di lavoro devono dedicare del tempo a concentrarsi su ciascuna generazione in modo indipendente, al fine di comprenderne le esigenze. Alcune esigenze fortunatamente saranno comuni e consentiranno di orientare azioni utili per tutti.
Tanto per cominciare, è utile mappare la presenza delle varie fasce d’età, e poi raccoglie quante più informazioni possibili, tramite sondaggi, moduli di feedback, ecc.
La maggior parte dei sondaggi sul benessere dei dipendenti tende però a concentrarsi solo su due componenti: i livelli di benessere individuali e la valutazione dei benefici di varie iniziative. In realtà è fondamentale comprendere quanto il dipendente abbia compreso che la sua azienda o il suo manager abbia a cuore il suo benessere e quanto la cultura aziendale lo supporti.
Se i dipartimenti delle risorse umane vogliono offrire un pacchetto completo che garantisca il benessere e che si evolve con il ritmo del cambiamento delle priorità dei dipendenti, devono guardare sia verso l’esterno che verso l’interno. E comunicare efficacemente: spesso è proprio nella trasmissione delle informazioni che la strategia è deficitaria.
Ma come realizzare un ambiente di lavoro che tutti possano vivere positivamente dal punto di vista emotivo e psicologico? Che questo sia fondamentale per ottenere delle buone prestazioni è risaputo. Alla base di questo obiettivo c’è spesso la capacità o meno dell’organizzazione di mettere nelle condizioni il dipendente di essere se stesso senza temere di non essere accettato o comunque di complicare i rapporti interpersonali.
Per creare questo ambiente favorevole, dove il conflitto e il disaccordo non debbano essere vissuti negativamente, l’orientamento deve venire dall’alto e i manager devono influenzare la cultura aziendale riconoscendo la condivisione di bisogni quali l’inclusione e l’accettazione sociale. In tal modo, i leader del team migliorano il morale, approfondiscono la comprensione della cultura della propria squadra e scoprono gli interventi necessari. Come risultato diretto di questa maggiore apertura ci sarà una maggiore condivisione, una risoluzione dei problemi più creativa e idee innovative che inizieranno ad emergere.


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