Quando un dipendente decide di lasciare l’azienda perché ha trovato un’opportunità migliore la prima cosa a cui pensa un HR manager è cercare una persona che lo sostituisca.
Troppo di rado ci si chiede perché il dipendente ha deciso di andarsene. Invece analizzare le sue scelte è utile all’azienda sotto diversi aspetti. Lo strumento per farlo è il colloquio di uscita.
Ascolta “Exit Interview: l’importanza dei colloqui di uscita” su Spreaker.
Quando un dipendente se ne va le sue ragioni possono essere diverse e complesse.
Comprenderle vuol dire capire il perché del turnover. Per questo il colloquio di uscita rappresenta una grande opportunità, che se sfruttata bene, potrebbe generare dei cambiamenti positivi all’interno dell’azienda.
Cos’è la exit interview (colloquio di uscita)
Si tratta di raccogliere dati, analizzarli e individuare trend e aspetti negativi. In questo modo si potrà migliorare tutto quello che causa l’allontanamento dei lavoratori. Per esempio se dai vari colloqui emerge che le mansioni affidate al dipendente non erano in linea con le loro aspettative, vorrà dire che l’annuncio di lavoro e i processi di induction e onboarding non sono adeguati e che quindi vanno modificati.
Il colloquio di uscita fra l’altro può dare all’azienda informazioni importanti sui suoi competitor, per esempio riguardo a compensi, benefit e altre politiche.
Il problema è che la maggior parte delle organizzazioni non fa questo tipo di colloqui. E quelle che li fanno spesso si limitano a raccogliere dati senza analizzarli, il che li rende inutili. Ma cos’è il colloquio di uscita?
Gli anglofoni lo chiamano exit interview. Può essere fatto di persona, in video chiamata, a telefono o anche attraverso strumenti online e serve a raccogliere informazioni su ciò che dell’azienda rende insoddisfatti i dipendenti che scelgono di cambiare datore di lavoro.
Questi colloqui devono essere fatti in tutti i dipartimenti perché ciò che interessa sono i dati aggregati, non le motivazioni individuali. Se non si ha una visione d’insieme sarà più difficile migliorare le cose.
L’exit interview però non può essere l’unico momento in cui si dà ai dipendenti l’opportunità di esprimersi. È fondamentale che l’azienda faccia dei sondaggi sulla soddisfazione, tenga dei colloqui periodici per capire se i dipendenti sono ancora motivati, dia ai lavoratori la possibilità di dare suggerimenti e feedback attraverso moduli o altri strumenti.

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I vantaggi della exit interview
Le informazioni raccolte durante i colloqui di uscita sono utilissime ma l’ideale sarebbe non dover arrivare all’uscita del dipendente. In ogni caso, quali benefici può portare l’exit interview?
Prima di tutto può migliorare il processo di selezione del personale.
Sia rispetto alla formulazione degli annunci e dell’onboarding sia perché può aiutare a capire quali tipologie di attitudine e personalità vanno bene per l’azienda.
In più può influire in positivo sulla performance dell’azienda perché i dati raccolti evidenzieranno dei punti deboli su cui si potrà lavorare. I colloqui di uscita, sempre se abbinati ad altri momenti di confronto e feedback, possono migliorare soddisfazione e coinvolgimento dei dipendenti che restano, perché dimostrano che l’azienda ha delle attenzioni verso di loro.
E forse il vantaggio più grande è che possono contribuire alla riduzione del turnover perché mano a mano l’azienda andrà a sistemare tutti quei problemi che emergono dai vari colloqui. Una fattore molto importante in quanto il costo per sostituire un dipendente è sempre elevato. Fra l’altro accogliere le critiche e gli appunti che affiorano durante l’exit interview, aiuta a rimanere in buoni rapporti con il dipendente, il quale potrebbe diventare nel tempo un ambassador, parlando bene dell’azienda.
È chiaro che il colloquio di uscita è uno strumento strategico e quindi è importante fissare degli obiettivi da raggiungere quando viene implementato.
Uno di questi è quello di scoprire eventuali falle nel lavoro delle risorse umane. Le aspettative poste potrebbero essere sbagliate oppure il programma di gestione dei talenti non funziona. Sono tutti aspetti che possono essere corretti. Altro scopo è quello di capire come i dipendenti percepiscono l’azienda, il lavoro, il clima. Migliorando la loro percezione si guadagnerà in motivazione ed efficienza.
Altre informazioni molto importanti da ottenere con i colloqui sono quelle che riguardano i manager. Hanno un modo efficace di condurre il team e il lavoro? Se così non fosse andrebbero messi sulla giusta strada. Ciascuno di questi obiettivi contribuisce a quello più generale di catturare nuove idee che possano favorire quell’innovazione e quel cambiamento necessari a migliorare le prestazioni di tutta l’azienda.
Come condurre una exit interview
Le domande che si possono porre durante un’exit interview sono tante e soprattutto devono essere riferite nello specifico ai casi presenti in azienda. È bene avere un vademecum per il colloquio in modo da poter raccogliere i dati da aggregare successivamente. Prima di tutto si deve cercare di capire quali sono i motivi principali che hanno spinto il dipendente a andarsene.
Poi si può chiedere quali cambiamenti dovrebbe fare l’azienda per ridurre il turnover. E come potrebbe diventare più performante.O quali aspetti lavorativi sono stati apprezzati maggiormente, o se la formazione è stata sufficiente, se la retribuzione era adeguata ecc. Invece ci sono alcune cose che è meglio evitare chiedere, per esempio se il dipendente ci vuole ripensare e decidere di rimanere. Dopo aver stabilito i propri obiettivi, le domande e gli indicatori di riferimento, bisogna decidere come condurre il colloquio; le modalità sono molteplici. In genere però si sono dimostrati più proficui i colloqui di persona perché c’è più possibilità di esplorazione e si possono cogliere anche i segnali non verbali.
Spesso si sceglie di inviare anche un questionario a distanza di tempo per vedere se le motivazioni vengono confermate. Può capitare che siano un po’ diverse perché è intervenuto un maggiore distacco emotivo. Per quanto riguarda il colloquio, va chiarito che è volontario e che i dati verranno trattati in forma anonima. Al dipendente va spiegato lo scopo e il programma del colloquio. Se si sentirà informato e non lo percepirà come un’imposizione, accetterà di buon grado di farlo. La durata del colloquio è variabile a seconda delle esigenze. Alcune aziende fanno exit interview di 20 minuti, altre di 60, altre ancora di 90.
In ogni caso non deve sottrarre troppo tempo all’attività lavorativa. Le aziende si differenziano anche per la scelta di chi deve condurre il colloquio. Potrebbe essere il team leader, un supervisore o un responsabile delle Risorse umane. Deve avere in ogni caso delle ottime capacità di ascolto, deve mostrare empatia e deve saper mettere a proprio agio il dipendente. Alle aziende che organizzano un secondo colloquio a distanza dalle dimissioni in genere si consiglia di farlo fare da un consulente esterno con competenze specifiche perché sarà meno coinvolto e dunque produrrà dati ancor più affidabili.
Le tempistiche dei due colloqui sono importanti: meglio non fare il primo durante l’ultimo giorno di lavoro ma almeno una settimana prima. E meglio non aspettare troppo per il secondo: massimo tre o sei mesi.
Chi fa il colloquio deve essere in grado di infondere tranquillità nel dipendente. L’atmosfera deve essere amichevole e rilassata, altrimenti sarà difficile ottenere informazioni utili. È importante ascoltare e non provare a risolvere problemi in quel momento, perché non è lo scopo del colloquio. Molto meglio farsi dare dal dipendente delle idee per migliorare.
Va usato un linguaggio positivo e si deve evitare di concentrarsi sugli aspetti negativi della questione. Invece è bene incoraggiare i dipendenti a dare suggerimenti o comunque a discutere anche di altre aspetti che ritengono importanti.
Una volta raccolte, tutte le informazioni vanno elaborate e analizzate. Ci sono diversi strumenti di supporto, come E-exit interview, Beyond Feedback e Nobscot, oltre all’onnipresente Excel.
Le informazioni vanno condivise con la leadership e con il management che in base a quanto appreso devono studiare un piano d’azione. È utile che gli HR prevedano una cadenza fissa, per esempio trimestrale, per comunicare i dati a chi ricopre ruoli decisionali. Bisogna andare alla ricerca di schemi e trend per rispondere a domande su come poter migliorare la retention dei dipendenti, su cosa offrono in più le aziende concorrenti, quali aspetti allontanano i dipendenti dalla nostra azienda, o su quali dipartimenti o quali funzioni hanno il turnover più alto. Scoprire dei pattern, rispondere a queste domande, permetterà di capire quali sono le soluzioni ai problemi. Ecco perché i colloqui di uscita sono più che utili e non vanno evitati.
Anzi, vanno previsti come parte integrante della strategia di retention. Sin dal momento dell’assunzione è necessario lavorare per mantenere i talenti in azienda, strutturando una conversazione continua con i propri dipendenti.
NOTE DELLA PUNTATA:
Gli strumenti a supporto delle exit inverview sono:
- e-Exit Interviews
- Beyond Feedback
- Nobscot
- Excel

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